«C’è che noi nella storia siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? Uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noia liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi»

(Italo Calvino-Il sentiero dei nidi di ragno)

domenica 11 maggio 2014

GUIDA ALL'ANALISI DEL TESTO

ULTIMO VIENE IL CORVO
La condizione umana tra bene e male





Il racconto rispecchia l’impegno conoscitivo di Calvino, l’amara consapevolezza della problematicità della condizione umana, costantemente in bilico tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Questo ragazzo, cresciuto allo sbando, per il quale la guerra è solo un’occasione di gioco, diventa l’emblema della «crudeltà innocente della vita» - Geno Pampaloni-

«Aggregatosi per puro caso alla banda partigiana, che per lui non si distingue da quella nazi-fascista, aveva sconvolto il suo gruppo per la mira infallibile: per catturare le trote le colpiva con il suo fucile a mano a mano che affioravano dall’acqua, mentre gli occasionali compagni avrebbero voluto buttare una bomba nel torrente per farle morire tutte. Il problema, è chiaro, si fa conoscitivo: di fronte alla rete prevedibile del sapere sistematico che teoricamente comprende tutto ma che in pratica non controlla i moti del singolo, il ragazzo senza nome, ma battezzato con l’epiteto popolare «faccia a mela», dimostra la superiorità di un sapere che di volta in volta si pone un obiettivo concreto. Il contesto della guerra è ormai abbandonato per assistere agli esercizi sin- golari di “faccia a mela” che centra qualsiasi oggetto entri nel suo campo visivo. Come la pistola di Pin, il fucile gli permette un pieno contatto con l’esterno: “Era un bel gioco andare così da un bersaglio all’altro: forse si poteva fare il giro del mondo”. Ma poi l’incontro con un tedesco lo obbliga a cambiare tattica, perché di un bersaglio dotato di logica si tratta: vuole salvare la pelle e quindi obbliga il ragazzo a scegliere il proprio campo visivo. Quando, arrivato il corvo, pensando che come al solito “faccia a mela” si sarebbe momentaneamente distratto per abbatterlo, il tedesco approfitta per fuggire, viene colpito invece inesorabilmente “giusto in mezzo a un’aquila ad ali spiegate che aveva ricamata sulla giubba” e che era il vero bersaglio assolutamente astorico, del gio- vane. Il corvo, simbolo antropologico di morte, significativamente non viene mirato e colpito. La conoscenza non aiuta a distinguere tra la parte giusta e quella sbagliata della Storia, se non in circostanze d’eccezione e non serve a risolvere i quesiti più drammatici dell’individuo, comunque in mano a un destino che lo sovrasta» (Benussi, 1989).

Lo stile rapido ed essenziale

Lo stile di Calvino neorealista è caratterizzato da frasi coordinate e da dialoghi brevi con espressioni informali del parlato (C’è pieno di trote... Cosa vuole questo?... Cribbio...Questo non ne sbaglia una... Se lui sta attento agli uccelli non sta attento a me. Appena tira io mi butto...).

La prevalenza delle sequenze descrittive (il paesaggio, la ricerca dei bersagli) determina un ritmo lento, così che la tragica realtà della guerra partigiana sfuma gradualmente nella dimensione fiabesca e irreale. Il ritmo si accelera nelle sequenze dell’inseguimento del soldato (Ad un tratto il proiettile gli sfiorò una guancia. Si voltò... Si buttò... Sentì... sbucò e sparò... L’inseguì... Gli bruciò...). 

Poi nella parte finale i punti interrogativi creano l’attesa angosciante della morte (Forse il corvo era troppo alto?... Si metteva a tirare alle pigne, adesso? A una a una colpiva le pigne che cascavano con una botta secca... Possibile che il ragazzo non lo vedesse?... Là c’è il corvo!).

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